giovedì 31 dicembre 2009

IL PAESE DELLE MERAVIGLIE, di Giuseppe Culicchia




Italia, anno 1977. Attila e Franz sono amici e compagni di banco; frequentano la prima superiore di un istituto tecnico a Torino, ed insieme, ogni mattina, prendono il treno che li porta dal loro paese, nell’interland torinese, al capoluogo. Attila, timido e introverso, viene da una famiglia disfatta: il padre, un operaio ormai spento e rassegnato, trascorre il suo tempo libero a costruire gabbie per canarini chiuso nel garage di casa; la madre conduce la sua vita tra i rimpianti per un’ipotetica mancata carriera di attrice drammatica e le letture in chiesa, vicina, troppo, a Don Curio, umiliando in continuazione il marito, il “napuli”, che non ha saputo offrirle una vita più agiata, come è accaduto invece alle sue sorelle, sposate a dei facoltosi industrialotti locali. E c’è Alice, la tanto amata sorella di Attila. Alice “trecce rosse occhi blu”, che per sfuggire all’ipocrisia della sua famiglia se ne andrà via, a Milano, con l’unico dispiacere di lasciare lì, in quella famiglia allo sbando, il suo caro fratellino. Attila si rifugerà allora nell’amicizia con Franz, il suo compagno di banco, un “camerata” con nostalgie nazifasciste, che non studia ma che recita a a memoria i discorsi del duce e che si studia la storia del Terzo Reich. Franz, il pazzo, sempre sopra le righe, sempre troppo fumato, sempre troppo bevuto, violento, dissacratore, sempre tutto, sempre troppo. Tra i due nasce un’intesa, un’amicizia che sarà per entrambi l’unica via di fuga, in un contesto dove, attorno al piccolo e sonnacchioso paese dei due protagonisti, l’Italia brucia: sono gli anni di piombo, delle brigate rosse, delle gambizzazioni ai giornalisti, della scuola allo sbando, ma sono anche gli anni dell’esplosione del Punk, gli anni dei Clash, dei Ramones, dei Sex Pistols, che con la loro rabbia, la loro ribellione e il loro disprezzo verso tutto e tutti, arriveranno ad essere gli unici punti di riferimento dei due protagonisti e di tutti quelli come loro. In questo clima di ipocrisia - familiare, scolastica, politica - i protagonisti vanno ognuno verso il loro destino, marionette trasportate dagli eventi che si succedono drammaticamente attorno ad esse, inesorabilmente.

In questo libro non c’è famiglia, non c’è scuola, non c’è Stato. Un libro senza speranza. Una generazione senza futuro. Sullo sfondo, la musica dei Sex Pistols. Giuseppe Culicchia racconta la disfatta dei valori in un’Italia devastata dagli anni di piombo attraverso gli occhi di due adolescenti, con uno stile crudo, tagliente, che offre momenti di puro divertimento ed ironia contrapposti ad altri di amara disillusione e di cocente disperazione. Una riflessione “dura e pura” su un periodo che ha costituito una delle peggiori pagine dell’Italia moderna

p.s. Tale recensione è stata anche da me pubblicata su Sololibri.net

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